Renato Facchin
MENTRE CASTAGNARO VINSE A PARIGI E GENOVA
NOI FUMMO VINCITORI A ROMA
PRIMO PREMIO MUSSOLINI ROMA 1940 FANFARA GIL
DEI BERSALIERI DIRETTA DAL M° RENATO FACCHIN
VINCITORI A ROMA raccontato da Gelmino Bissoli al figlio Sergio.
Nell’anno 1940 circa, arrivò da Roma l’ordine di selezionare le fanfare di tutte le
città d’Italia. La fanfara di Cerea, di cui facevo parte, si trasferì alla GIL (Gioventù
Italiana del Littorio) di Verona. Erano presenti tutte le fanfare della provincia per
un totale di circa 450 suonatori.
Dopo qualche giorno arrivarono i maestri di musica, fra i quali il maestro Renato
Facchin. A me fu assegnato un maestro da Garda. Andavamo sulle Torricelle per
fare le prove: qui ci presentavano brani musicali nuovi da suonare per la prima
volta. Poi ci suddividevano, a destra quelli prescelti e a sinistra quelli scartati.
Arrivato il mio turno, suonai un brano nuovo, senza fare errori. Un altro
compaesano Bianchini, suonò anche lui un brano nuovo senza sbagliare e fu
anche lui prescelto.
Il maestro ci chiese chi era il nostro maestro di musica a Cerea. Noi rispondemmo
“Ugo Pallaro” e il maestro commentò:
“Dicono che Pallaro è matto, ma ha degli allievi che suonano, e suonano bene!”
Finiti gli esami, i suonatori scartati vennero mandati a casa. Quelli rimasti (fra i
quali io e Bianchini) erano 110.
Adesso il maestro Facchin doveva selezionare fra questi 33 suonatori, 30 per la
banda e 3 di scorta. Le prove furono fatte in tre giorni, con meticolosità. Dopo
ripetute prove, Facchin selezionò 35 suonatori, fra i quali io e Bianchini.
Ci assegnarono i posti nel dormitorio e ci stabilimmo definitivamente nell’edificio
della GIL.
Tutte le mattine c’era la sveglia e gli esercizi: di corsa, suonando lo strumento,
fino a Porta Nuova, andata e ritorno; circa 2 kilometri di percorso. Arrivati in
cortile, c’era il riposo e la colazione. Dopo, il maestro Facchin ci dava lezioni di
musica, per la durata di circa due settimane.
Una mattina, l’esercitazione di suonare di corsa nel cortile, durò più a lungo del
solito. Un giro, due giri, tre giri... Un suonatore vicino a me gridò: “Basta.”
Facchin si avvicinò e mi diede uno schiaffo sulla nuca che mi provocò una ferita
alle labbra appoggiate al bocchino dello strumento (flicorno).
Sentendomi colpito ingiustamente uscii dalla fila e scagliai con forza lo strumento
contro il muro, fracassandolo.
I compagni mi dicevano che avevo fatto bene. Il maestro Facchin chiamò una
guardia, mi fece arrestare e mi misero in prigione.
Rimasi in cella tutto il giorno. Alla sera non mi portarono da mangiare. Al mattino
dopo il carceriere mi aprì e mi accompagno dal maestro Facchin.
Il maestro si scusò per l’accaduto perchè aveva scoperto quello che aveva
parlato; poi mi informò che proprio quel giorno sarebbe arrivato un gerarca da
Roma per esaminare la fanfara di Verona. Nella fanfara non poteva mancare un
elemento perciò io dovevo partecipare; ma poichè avevo ancora la ferita alle
labbra, avrei fatto finta di suonare.
Avevamo raggiunto un buon livello di istruzione musicale. Adesso occorreva
perfezionarci nell’altrettanto importante allenamento militare.
Dopo pochi giorni arrivò un sergente istruttore nuovo e molto severo. Al mattino
eseguivamo la solita corsa suonando, ma dopo passavamo sotto la sua direzione.
A passo di marcia, andavamo sulle Torricelle e poi su un grande piazzale dove
l’istruttore ci dava ordini in rapida successione. Esempio: avanti march; dietro
front; per fila dest; squadra alt.
Molte altre cose erano cambiate. Il precedente istruttore ci concedeva, dopo cena,
la libera uscita fino alle ore 10. Con questo istruttore la nostra libera uscita serale
fu abolita; lui usciva mentre invece noi dovevamo coricarci a letto alle 8 di sera.
Una sera, stanchi della solita routine, alcuni allievi decisero di architettare uno
scherzo. Con gli indumenti dell’istruttore costruirono un fantoccio e lo misero nel
suo letto, sotto le coperte. Posero le scarpe in fondo al letto, che fuoriuscivano dal
lenzuolo e sul cuscino ci coricarono un busto con la testa del duce.
A mezzanotte il sergente istruttore fece ritorno nel dormitorio. Noi spiavamo le sue
mosse fingendo di dormire. Dapprima egli si arrestò, sorpreso nel vedere il suo
letto occupato da un’altra persona. Poi si avvicinò, sollevò le coperte e scoprì il
fantoccio che stava sotto.
Di colpo fu preso dall’ira e con voce arrabbiata incominciò a gridare chiedendo chi
era l’autore dello scherzo. Poichè nessuno rispondeva decise di punirci tutti
collettivamente. Ci ordinò di vestirci subito e di scendere giù in cortile. Qui fece
l’appello; poi aprì il portone e ci costrinse a marciare per una lunga strada fino
alle 3 di notte. Allora ci lasciò riposare un poco davanti a un’osteria, mentre lui
entrò dentro per bere. Poi via, sempre in marcia percorremmo la strada del
ritorno. Alle 5 del mattino raggiungemmo finalmente il nostro dormitorio. Qui ci
lasciò dormire per un paio di ore. Al mattino presto, sveglia e ancora musica da
suonare ed esercizi di atletica da eseguire.
L’istruttore ci ammonì: “Non azzardatevi a ripetere lo scherzo una seconda volta,
altrimenti la pagherete dieci volte più cara!”
Nessuno si permise più di fare scherzi a questo sergente e l’istruzione continuò
per altri 15 giorni: istruzione musicale col maestro Facchin e istruzione militare col
sergente severo.
Finalmente arrivò l’ordine di trasferirci a Milano per selezionare le fanfare
rappresentanti tutte le città d’Italia.
Partimmo in treno alla sera e arrivammo a Milano il mattino seguente. In una
sede fuori città, fummo accolti con colazione in albergo. Mangiammo tutti un po’
di zucchero per energizzarci.
In questo posto c’erano moltissime fanfare in attesa di esibirsi. Dopo alcune
marce di allenamento, arrivò il nostro turno per la prova. Ci recammo in un
piazzale alberato dove stava la giuria. Il maestro Facchin ci fece suonare alcuni
brani musicali che eseguimmo alla perfezione. Seguì poi la marcia, come ci
avevano insegnato. Poi la marcia suonando il Flip Flop, correndo.
Percorremmo il giro completo del piazzale, del perimetro di circa 1 Kilometro,
correndo e suonando. Arrivati davanti alla giuria, il maestro Facchin chiese di
poter suonare un brano musicale scritto da lui.
Dopo ci ritirammo all’ombra, in attesa che si esibissero tutte le altre fanfare. Le
esibizioni durarono tutto il pomeriggio e alla sera, in treno, ripartimmo per Verona.
Alcuni giorni dopo arrivò di corsa il Maestro Facchin per comunicarci la vittoria.
Da questo momento la nostra fanfara rappresentava la regione Veneto.
Seguirono altri 20 giorni di allenamento. Adesso la nostra fanfara doveva
gareggiare con le altre fanfare vincitrici, rappresentanti le altre regioni d’Italia.
Seguì un periodo di riposo: ci concessero una licenza da trascorrere a casa
nostra, con l’obbligo però di ripresentarsi alla GIL dopo una settimana.
Al nostro rientro alla GIL tutto riprese come prima: fecero l’appello, ci
consegnarono la divisa e riprendemmo le marce col sergente. Ancora marce e
allenamenti sempre più intensi: corse sulle Torricelle, corsa col maestro Facchin
suonando dalla GIL fino a Porta Nuova, ritorno e successivi giri in cortile.
Dopo 15 giorni di allenamento arrivò l’ordine di trasferirci a Roma per il concorso
nazionale.
Partimmo alla sera alle 9, su un treno di terza classe. Portai con me una bottiglia
di menta, ma era troppo concentrata e non potevo diluirla con l’acqua non
potabile presente sull treno. Perciò dopo qualche sorso, regalai la bottiglia agli
altri commilitoni.
Arrivammo a Roma di mattina presto. Dopo la colazione, siamo partiti in pullman
e successivamente siamo saliti a piedi su un colle, fino a un accampamento. Lì
abbiamo piantato la nostra tenda e fatto sosta. Dopo il pranzo in gavetta, molti di
noi si sono riposati. Invece io e altri 4 amici abbiamo preferito esplorare i dintorni.
Siamo saliti ancora sul colle, dove c’era una foresta di alberi con la corteccia di
sughero. Ci siamo sperduti in quel bosco, però dopo tante giravolte abbiamo
trovato la strada che portava all’accampamento. Qui ancora prove musicali che
durarono otto giorni. Dopo, finalmente, arrivò l’ordine di partecipare alla gara.
Al mattino presto il pullman ci portò in prossimità dello stadio dei marmi. Al centro
stava la giuria, e attorno le fanfare rappresentanti tutte le regioni d’Italia. Con
l’altoparlante chiamavano le fanfare (una alla volta) che si esibivano davanti alla
giuria.
Circa alle 10 arrivò il nostro turno. Il maestro Facchin si presentò alla giuria
chiedendo il permesso di farci suonare un brano creato da lui. Dopo l’ascolto, tutti
si congratularono con lui e subito dopo iniziò la gara vera e propria. Suonammo
canzoni patriottiche davanti alla giuria. Poi iniziammo la corsa percorrendo il
perimetro dello stadio, lungo circa un kilometro.
Le fanfare precedenti avevano compiuto al massimo mezzo giro. La nostra
fanfara, composta di 33 suonatori, compì l’intero percorso dello stadio. Ci guidava
il maestro Facchin e il sergente istruttore. All’arrivo, il maestro ci ordinò di
proseguire e compiere un secondo giro. (il maestro ci aveva insegnato un piccolo
trucco per risparmiare il fiato). Finito il secondo giro, il maestro ci incitò a
compiere il terzo giro dello stadio, sempre correndo e suonando.
Altra lunghissima marcia, dove, all’arrivo due suonatori sono svenuti.
La giuria applaudì la nostra performance e si congratulò col maestro.
Usciti dallo stadio ci appartammo per riposare.
Al pomeriggio, dopo l’esibizione delle altre fanfare, la giuria ci assegnò il Primo
Premio. Facchin ci diede la notizia e subito dopo ci recammo a palazzo Venezia
per ricevere il premio. Mussolini strinse la mano a tutti noi, si congratulò col
maestro e ci consegnò un diploma con i nomi di tutti i suonatori. Poi ci consegnò
il trofeo: una statua di bronzo alta circa un metro, rappresentante un bersagliere.
Facchin chiamò me e un altro per trasportare il trofeo.
La sera stessa siamo partiti in treno. Il trofeo era pesante e lo sistemammo sotto i
sedili. Arrivati a Verona portammo il trofeo alla GIL e poi andammo a riposare. Il
trofeo fu preso in consegna dai gerarchi e venne esposto in una nicchia. Come
ulteriore premio ci assegnarono una gita in Spagna, ma io avevo la fidanzata e
così partì mio fratello al posto mio. Anche lui suonava lo stesso strumento e
perciò lo scambio fu possibile.
Negli anni successivi mi sposai e abbandonai la musica. Dopo la morte del
maestro Pallaro fu chiamato il maestro Facchin come sostituto. Alla sagra di
Cerea in piazza Sommariva, Facchin diresse la banda. Io ero presente alla
manifestazione; durante una pausa Facchin mi vide, scese dal podio e mi
consegnò la bacchetta invitandomi a dirigere la banda. Io rifiutai e il maestro salì
sul podio e spiegò che io ero uno dei vincitori del primo premio nazionale a
Roma.
Dalle memorie di Gelmino Bissoli di Cerea, (padre dello scrittore Sergio)